Io sono una scrittrice, o meglio, mi piacerebbe molto diventarlo. Fin da piccola però ho avuto un carattere terribilmente insicuro e non sono mai riuscita a credere in me stessa. Ho scritto tanto nei miei trent’anni, ma avevo deciso di smettere quando mi resi conto che lo facevo senza uno scopo. Scrivevo storie spesso banali e senza sapore, mentre ritengo importante che un racconto abbia un senso, altrimenti c’è il rischio che tutta la trama tessuta crolli priva di un sostegno.
Mi ero perciò presa una pausa dal fare la cosa che reputavo tra le più importanti nella mia vita.

Senza la scrittura come sfogo, era comprensibile il motivo per cui in quel periodo mi sentivo terribilmente demoralizzata.

Fu così che accettai molto volentieri l’invito della mia amica Micol a trascorrere con lei le vacanze, ospite della sua casa nelle Midlands inglesi. Due cose ho scoperto subito essere la caratteristica di quella regione del Regno Unito: la pioggia e il nulla. Non che nelle Midlands ci sia proprio nulla, ma di certo è una vasta regione di campagna.
I primi cinque giorni sono stati di continua pioggia: a parte brevi passeggiate nel centro della cittadina in cui ero ospite, la maggior parte del tempo lo passavo chiusa in casa. Ne approfittavo per migliorare il mio inglese guardando la televisione e leggendo delle storie per bambini alla figlia della mia amica.
Durante tutto il periodo in cui fui loro ospite, la bambina era nella fase “principesse” e voleva ascoltare solo le storie di Cinderella, SnowWhite, e simili… Una sera, incapace di dormire, mi persi a leggere un libro di fate. La bambina doveva averlo voluto a causa dei bellissimi disegni mentre io mi incantai sulle storie.
Scoprii così l’esistenza di vari tipi di fate che si potevano classificare in base all’elemento di appartenenza.

In realtà non sono mai stata attratta da questo tipo di racconti, forse la campagna inglese deve aver influenzato il mio inconscio. Dopo una notte intera in cui mi persi a leggere storie fantastiche sulle Fairy Tales, finalmente al mio risveglio trovai il sole, per la prima volta da quando ero qui.
Seguendo il consiglio della mia amica misi una tuta da ginnastica, una giacca per ripararmi dal vento e scarpe adatte a camminare nel fango. Armata di zaino, merenda ed il pranzo, cominciai ad esplorare la riverside walk una passeggiata che costeggia un fiume intervallato da canali artificiali. Si poteva camminare per ore, io ne feci solo quattro, alla luce del fatto che poi avrei dovuto ritornare indietro.
Il paesaggio era caratterizzato da piccoli agglomerati urbani alternati a sterminata campagna. Il canale tagliava i paesi con le sue chiuse, passaggi o ormeggi di case galleggianti, che nelle regioni del nord sono molto diffuse.

Per il pranzo mi fermai nei pressi di un boschetto, dove c’erano anche alcune panchine. Mi sedetti su una che aveva la seguente dedica: “Al nostro caro amico … che qui veniva sempre a trovare ispirazione. Visse di sogni, ora vive nei sogni di coloro che ascoltano ancora le storie che scrisse.”
Devo ammettere che da italiana mi faceva sempre uno strano effetto sedermi sopra un luogo legato ad un defunto. Invece in Inghilterra è un’usanza molto comune: rende molto più forte il legame del ricordo.
La quiete del luogo, il lungo camminare ed il pranzo, mi avevano rilassato: chiusi gli occhi per un tempo che pensai di un momento, ma che invece doveva esser stato molto più lungo. Presi a sognare.
Tutto ebbe inizio dal suono di una chitarra e lo sbattere di ali.

Il rumore di ali, per quanto vicino, non era forte e sentii appena uno spostamento d’aria sul mio volto. Socchiusi gli occhi e vidi una piccola sagoma di donna volare con eleganza. Stava seguendo la musica e non ci volle molto che si avvicinasse ad un fungo nascosto tra l’erba alta. Vide già da lontano un’altra creatura dell’aria che suonava un mandolino.
«E’ una musica molto triste…» disse mentre scendeva accanto a lui.
«Sì, è la storia di Luby…»
«Si tratta di una creatura dell’aria come noi?»
«No, lei appartiene al popolo dei centauri, il suo busto è di donna, ma le sue quattro gambe sono equine.»
«Raccontami perché è così triste…»

La creatura seduta sotto al fungo prese a suonare nuove note.

«Nella terra dei centauri tanto tempo fa nacque una giovane dalla pelle ed il pelo candido come la luna, gli occhi azzurri profondi come il mare. Il suo nome era Luby.
Tra il popolo dei centauri non e’ usanza come in altre regioni imporre un’educazione diversa a maschi e femmine. Fino a che non raggiungono l’adolescenza entrambi i sessi imparano le stesse cose, che possono essere riassunte in un’unica parola: sopravvivere. Imparano a cacciare il cibo, a conoscere le erbe e come meglio mangiarle, a costruirsi un riparo nella foresta rispettando la natura.
Un popolo che più di tutti rispetta le leggi della natura e vive in perfetta armonia con essa.

Ad educare i figli in queste cose sono solo le madri: le donne rimangono sempre nel luogo di nascita, loro li chiamano “villaggi”, anche se hanno ben poco in comune con quelli degli umani. Quando un maschio raggiunge l’età adulta segue il richiamo della luna e si allontana dal villaggio, cerandone un altro in cui sposarsi e generare figli. Quando il figlio nasce, il genitore si allontana nuovamente e dopo tre lune si stabilisce in un nuovo villaggio, in cui generare nuova prole…

Nessun centauro ha un padre, tutti crescono con la sola educazione della madre. Una madre che deve accogliere sempre un nuovo sposo nella sua casa, da cui apprendere nuove usanze e nuove abilità provenienti dagli altri villaggi. La luna chiedeva agli uomini centauro di farsi messaggeri della voce della natura, di svolgere una vita errante e rinunciare ad ogni legame, per quanto fosse loro concesso di amare. Una storia racconta che loro, lasciata la sposa, se ne dimentichino e così anche il luogo del suo villaggio, in modo che non possano tornarci per generare nuovi figli.

«Un amore dovrebbe essere ricordato in eterno…» disse la creatura mostrandosi interessata alla storia.
«Questo non si sa per certo, ci sono molte versioni di questa storia…»

Dalla madre ed i fratelli Luby imparò a cacciare, riuscendo a farlo meglio di chiunque altro fosse passato per il suo villaggio. Luby aveva cinque fratelli maschi e li vide partire ad uno ad uno, seguendo il richiamo della luna. Non riusciva a comprendere il motivo per cui la luna fosse cosi’ malevola da allontanare le persone a cui voleva bene… ma anche per lei giunse il richiamo della luna, che le disse di innamorarsi e generare figli.
Amò ricambiata il giovane Kino, ma non si sposò con lui, poiché Luby non voleva provare per lui il dolore della separazione.

«Voglio seguirlo ed accompagnarlo nel suo viaggio, seguire con lui la voce della luna…» disse alla madre.
«Lo seguiresti anche sapendo che dovrà generare figli con altre compagne?»
«Sì…»
«Parli così perché non hai ancora compreso le voci della luna… rimani qui, amalo dandogli un figlio e lascialo andare… poi conoscerai altri sposi con cui essere felice…»
«Non potrei amare nessuno come amo lui, non desidero altri compagni se non lui… sono disposta ad accettare che Kino abbia figli da altre spose se però ho la certezza che sarò la sola ad essere amata. Quante donne al villaggio vivono attendendo il ritorno del primo sposo? Ma nessuno è mai tornato, sebbene abbiano amato altri compagni… Io voglio vivere sempre con lui.»
«Ascolta la luna, figlia mia, non vivere di un sogno che non puoi ottenere…»
«Sono decisa a partire con lui con la prossima luna, Kino è disposto ad accettare la mia compagnia.»
«Quando avrai dei figli la luna ti chiederà di fermarti ed allora non potrai più seguirlo…»
«Madre, per lui sono disposta a rinunciare al mio essere donna, a vivere come un uomo e viaggiare di villaggio in villaggio portando la parola della luna.»
«Se questa e’ la tua decisione allora vai figliola.»
Fu così che Luby iniziò una vita errante, assieme al compagno Kino e s’amavano sempre più…

«Rimasero insieme per sempre?» chiese nuovamente la creatura dell’aria.
«No, la luna chiamò anche Luby e dovette fermarsi per ascoltare la sua voce…» disse lui non smettendo la sua musica.

Col passare delle stagioni anche Luby sentì sempre più chiaramente il richiamo della luna, che voleva fosse madre. Kino l’amava e gli piaceva averla accanto nei suoi viaggi, ma se il suo istinto era quello di fermarsi ad un villaggio, lui non glielo poteva impedire.
Luby però non riusciva a rinunciare alla sua compagnia.
La luna decise per lei e durante una battuta di caccia le fece trovare il cucciolo di una creatura dei boschi, simile ad un piccolo uomo neonato, con ali di libellula. Luby lo prese con sé e lo portò da Kino.
«Lui vivrà solo il tempo di una luna… e per me è tempo si allontanarmi.»
«Io rimarrò qui con lui, finché non giungerà il suo tempo, tu va a seguire il tuo destino, senza dimenticarmi, perché presto ti raggiungerò di nuovo.»
Fu cosi’ che Luby divenne madre per il tempo di una luna, stringendo il cucciolo tra le braccia e cantando le canzoni del suo popolo sotto la luce della luna. Ma l’astro, inesorabile, compì il suo ciclo ed anche quel cucciolo divenne adulto, dovendo allontanarsi da lei, per riprodursi e morire.
E così Luby riprese il suo viaggio per raggiungere Kino.

«Lei ha trovato poi Kino?»
«La leggenda è incompleta, questo non si conosce.»
«Ma lui non si è dimenticato di lei, vero? Si sono ritrovati, giusto?»
«A me piace pensare che anche se lui l’avesse dimenticata, poi Luby riesce a raggiungerlo e riconquistare il suo amore.»

La musica divenne sempre più forte e guardai il canale, vedendo arrivare un’imbarcazione con una radio accesa. Dopo lungo tempo mi venne in mente una delle mie prime storie, pensata quando ancora ero adolescente. Era ambientata in un mondo fantasy ed uno dei personaggi chiave viaggiava alla ricerca del suo amore.
Tornai a casa di Micol molto stanca per la camminata, ma prima di andare a dormire volli prendere il mio computer portatile e scrissi degli appunti che intitolai “La leggenda di Luby”. Una favola che il personaggio della vecchia storia raccontava alla protagonista.

Quando finii guardai sul mio tavolo, vedendo ancora il libro di fate della bambina.
“Le fate dell’aria posseggono in loro i quattro elementi: ali a significare l’aria; gambe simbolo della terra; lo scintillio del fuoco e la fluttualità che richiama l’acqua. L’aria è una forza creativa, le fate sono attratte dagli artisti e molte volte regalano a loro l’ispirazione.”