Camminando spensierati spesso ci piace accompagnarci con una bella canzone che faccia da sottofondo ai nostri pensieri, ma a volte capita che in questi componimenti ci siano degli errori grammaticali, sintattici e lessicali che ci fanno perdere in pochi secondi la voglia di ascoltare la suddetta canzone.
Ma questi errori sono voluti oppure no?
Facciamo un po’ di chiarezza, la licenza poetica è definita come un errore volontario da parte di un artista che, per così dire, tira al limite la corda delle concessioni linguistiche per particolari ragioni artistiche legate al suo componimento.
Pensiamo che anche Leopardi nel suo Il sabato del Villaggio scrive:
«e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore»
Come sappiamo tutti perfettamente in italiano si dice lo zappatore, ma il poeta per ragioni di metrica sostituisce l’articolo.
In questa poesia inoltre Leopardi si concede anche un’altra licenza poetica di tipo fattuale dicendo che la ragazza che torna in città porta con sè un «mazzolin di rose e di viole». Come voi sapete, le rose e le viole non fioriscono nello stesso periodo dell’anno, ma la verità nuda e cruda è stata sacrificata per amor della bellezza dell’immagine.
Dunque in questo caso vediamo che ci sono motivazioni lampanti e precise che giustificano questi errori voluti per amor d’arte, ma si può parlare di licenze poetiche nelle canzoni moderne?
Pensiamo alla canzone-tormentone Bando di Anna, già nel titolo vediamo l’adozione spasmodica di inglesismi che a volte vengono usati un po’ così a fantasia per darsi un tono in una canzone che cerca di avere profondità ma finisce per avere solo del potenziale per diventare oggetto di studio per classi psichiatriche delle prossime generazioni.
Il Bando sarebbe quindi questa casa abbandonata dove ci si riunisce e si dimentica la propria lingua madre, a quanto pare, perché in un miscuglio di inglese, spagnolo e quel mix di neologismi che speriamo vadano presto relegati nel dimenticatoio se non si ha meno di quindici anni difficilmente riuscirete a decrittare questa canzone.
Arriviamo poi all’ultima strofa in cui la cantante recita “Quel che faccio mo saluti, non son nata ieri”. Ora, grazie ad una grande sensibilità si può intuire cosa si volesse dire con una frase (?) simile, ma sono aperta ad altre interpretazioni nei vostri commenti.
Poi passiamo ad una canzone di Tedua, Pugile, che vanta un bell’uso di immagini evocative, ma non si tratterebbe di un cantante della GenZ se non ci fossero parti che onestamente lasciano un po’ perplessi per il significato non proprio chiaro, in questo caso un enigmatico verso che recita “Quando, quanto gelo lascia la scialuppa/ La mia vita di Pi, squali nell’acqua”.
Con un quando un po’ di troppo direi.
Ma quindi, queste creazioni possono essere poste sotto la categoria di licenza poetica, o si tratta solo di mancata proprietà di linguaggio?
Io la mia opinione me la sono fatta, e sta in una via intermedia: come sappiamo la musica rappresenta il legame più diretto tra la forma di comunicazione scritta e parlata, pertanto è assolutamente normale che questa risenta dell’influenza delle nuove mode e modi di dire che nascono e che fanno evolvere la nostra lingua.
Un conto però è cercare il mimetismo linguistico, un altro scrivere testi che non hanno assolutamente senso, nemmeno da un punto di vista artistico alternativo.
Voi cosa ne pensate? Credete che si tratti di una nuova forma d’arte o che semplicemente si dovrebbe ricordare a queste giovani stelle che il loro talento sarà difficilmente comprensibile se non parlano in una lingua conosciuta da noi umani?
Quando ho letto qui sopra “Bando” ho pensato: “Ma non sarà mica il Bando sopra il booster?” Che a casa mia “il bando sopra il booster” è diventato un modo di dire per una cosa senza senso, pensa un po’. Forse perché qua la generazione X è solo invidiosa di questi baldi giovani?
Ma anche no.
Condivido le parole di Caparezza in un’intervista, non so dove l’ho letta, dove dice che il rap (o trap? o trash rap? boh) di oggi è diventato un genere per ragazzini, con testi di qualità così così, soprattutto nelle rime. Mentre le sue canzoni più vecchie, diciamo a pari età, a confronto sembrano saggi e poesie. E cosa vuoi, anche lui invidioso della generazione X… 😀
Era meglio rimanere nel tunnel nel nel nel del divertimentoooo?!
Credo che ogni generazione abbia i suoi autori “sgrammaticati”, chiamiamoli così.
Arriverà il giorno in cui farò un canale youtube in cui cerco di interpretare come poesie i testi delle canzoni (progetto in cantiere, ma poco tempo per realizzarlo).
PS. Dalla newsletter: che sia vera o no, quella storiella dei fratelli Fondelli meriterebbe di essere scritta lo stesso… 😉
Probabilmente comparirà nel blog qualcosa sui fratelli Fondelli, anche solo come aneddoto, come è stato nella newsletter. Sul crearci un racconto breve non saprei, non sono molto brava nei testi umoritici.
Nel caso del trap, anche ascoltando Tedua, non mi soffermo quasi mai a considerare quanto le parole si reggano in piedi. Metto già in conto fin dall’inizio che la difficoltà di scrivere un buon testo rappato produca anche degli strafalcioni. In un certo senso è come se le parole diventassero simili a note musicali: non mi domando se sono corrette, solo se mi piacciono o no. Non spingerei però questo ragionamento troppo in là, però.
Una canzone non è solo un testo, ha anche altri fattori e valori, come musica e voce. Infatti molto spesso non si conoscono le parole e si canticchia però il motivo o si mettono parole “a caso”. Un testo sgrammaticato è un’attenzione ai dettagli e non è un elemento che rende inefficace un brano.
Cliccando in “Google” la voce LICENZE POETICHE FATTUALI, delusione completa! I commentatori-ricercatori interessati all’argomento riportano solo due esempi, e sempre gli stessi :1) “Il sole / ridea calando dietro il Resegone” (Carducci); 2) “un mazzolin di rose e di viole” (Leopardi). Ma nessuno si ricorda dell’upupa, volutamente (o erroneamente?) scambiata dal Foscolo per uccello notturno e immondo, che vagola nei cimiteri e si ciba di resti umani in via di decomposizione, mentre è risaputo si tratti del grazioso galletto marzuolo (diurno e con un bel piumaggio colorato), con il solo difetto di emettere un canto monotono e sgradevole.
Sono di Padova e, in questi giorni, ho riletto il sonetto del D’Annunzio dedicato appunto a Padova, tratto dalla raccolta “Elettra” (“Le città del silenzio”), scolpito su una lapide murale di fronte al Prato della Valle. Al 9° verso (ovvero 1° della prima terzina), si legge: “ma nel tuo prato ombrato d’olmi”. Peccato che nel 1903, quando il vate scriveva questi versi, il Prato della Valle fosse onbreggiato da pioppi. Mi vienea da concludere che, talvolta, i grandi poeti sono anche dei grandi bugiardi..