Ho perso il controllo sulla trama, ho lasciato che i personaggi prendessero vita e decidessero di loro iniziativa cosa fare. Non sarà nulla di strano per molti di voi, ma il mio problema è che la libertà più grande l’ho lasciata all’antagonista della storia, e mi sono innamorata di lui.
Già in un articolo precedente avevo confessato questo mio amore verso Il Supremo, antagonista della storia adolescenziale Amici nei sogni.
Cosa rende grande un cattivo?
Forse avevo dieci anni quando pensai alla figura del Supremo: una creatura senza nome, che era cattivo “perchè sì”. Una sagoma in ombra, che dava ordini ai suoi sottoposti e sorvegliava tutto e tutti da un’unica stanza ricca di specchi, che riflettevano le vite per le quali il Supremo aveva particolare interesse.
Poi capii: un cattivo che era tale solo per definizione, rendeva la trama vuota. Tutti i personaggi e le ambientazione erano delineati e credibili, mentre il Supremo rovinava la lettura.
Fu così che decisi di motivarlo: giustificai la natura del personaggio trovandogli una ragione per essere ciò che è diventato.
Lo stimolo a crescere e smettere di essere semplicemente una persona cattiva, fu quello di donargli una figlia a cui voler bene. Era il desiderio di proteggerla e di rendela felice sopra ogni cosa, anche di sé stesso, perchè nulla è più giustificabile dell’amore.
Mettersi nei suoi panni
Tendenzialmente non mi reputo una persona cattiva, ma ho trovato molto utile mettermi nei panni dell’antagonista, cercando di pensare in modo “malvagio”. Ho fatto anche una prova di stile scrivendo una delle versioni del racconto dal suo punto di vista.
Gli scrittori devono diventare i loro personaggi: giovani o anziani, maschi o femmine, operai o dirigenti, analfabeti o acculturati che siano.
Le delusioni che ho accumulato nella vita sono ritornate molto utili per esasperare reazioni malvagie.
Tutti abbiamo un lato oscuro, e non c’è assolutamente nulla di male nell’ utilizzarlo quando si scrive.
Le prove a cui il Supremo (come qualunque altro cattivo), è stato sottoposto nella vita, sono le radici della sua malvagità. Amarezza e rabbia possono dare un senso ai suoi atti, ma non sono delle giustificazioni per perdonarlo.
Da quando gli ho fornito una personalità, ho avuto grande compassione per Il Supremo: l’ho interpretato come una persona estremamente sola, con dei seguaci ma nessun amico, sempre chiuso nella sua stanza degli specchi dove può controllare tutto, ma senza poter interagire con il mondo.
Non esce mai da quel luogo, manda i suoi seguaci ad agire e lui rimane semplicemente ad osservare.
Nelle prime descrizioni, lui era un uomo che aveva acquisito dei poteri divini che gli permettevano di influenzare l’inconscio delle persone. Egli era stato banito dal mondo e confinato nella stanza degli specchi perchè i guerrieri dei sogni non potevano sconfiggerlo.
Quando unii tutte le fantasie di tutti i racconti dell’universo che chiamo Astratto, mi resi conto che il Supremo non poteva essere un umano, e le sue qualità erano evidentemente quelle di un Creatore di mondi. Il Supremo vive dentro a Morfeo, un mondo in cui si collegano gli inconsci di tutte le creature viventi, e forse questa dimensione potrebbe essere l’Astratto stesso.
E forse, il Supremo sono diventata proprio io.