La stanza era situata nei sotterranei del palazzo in cui vivevo, costruita interamente in pietra e con dimensioni di dieci metri per altri sei. Senza alcun arredo. Eppure una ventina di rappresentanti delle nobili Famiglie si erano radunati in quel luogo, con i loro vestiti eleganti e la voglia di festeggiare un evento importante.
C’era perfino il Patriarca, il capo di tutte le nobili Famiglie: un uomo anziano, ma con ancora un grande vigore che non lo faceva apparire più vecchio di molti nobili lì riuniti. Sebbene fosse di indole bonaria, disposto a condividere l’ilarità della festa con gli invitati, tutti i nobili in cuor loro lo temevano almeno un po’. Di lui si raccontava quale grand’uomo fosse, di come nella sua vita avesse raggiunto con grandi onori il ruolo di Patriarca, scrivendo una “grande storia”.
Ai bambini non veniva mai raccontata quella “grande storia”, si riteneva che fino ai dodici anni nessuno potesse comprendere “le storie”, custodite con grande segreto dagli adulti, ne parlavano tra loro, ma con discrezione davanti ai fanciulli che avrebbero chiesto troppi “perché”.
All’epoca anch’io ero troppo giovane per conoscere “le storie”, mi riusciva difficile comprendere il motivo di tanta segretezza per quelle che ritenevo semplici narrazioni di imprese: ma era proprio per evitare questa semplicistica considerazione che non potevano essere conosciute prima dei dodici anni.
Un rito ben più importante stava per svolgersi nei sotterranei del palazzo, richiamando tutti i rappresentanti delle Famiglie: in quel giorno, mio padre, Signore di Valen, all’età di 42 anni compì il rito di “oltrepassare la Porta”. Il Patriarca gli era al fianco e stava intessendo un grande discorso a tutti i presenti a suo elogio. L’atmosfera appariva molto allegra e festosa, ma io guardavo con indifferenza tutte le persone onorare mio padre: come non ero in grado di comprendere le “storie” così mi risultava di difficile comprensione il “varcare la Porta”.
Il sotterraneo aveva due uniche vie d’accesso: la scalinata che portava al piano superiore in cui c’erano le stanze in cui abitavo e la Porta che sarebbe stata varcata. In apparenza era un semplice infisso, ma in realtà conduceva al mondo dei morti.
All’epoca mi impressionava estremamente il concetto di “regno dei morti”: ma ero ancora troppo giovane per comprenderlo e capire… Restavo così in disparte, immobile ed assorto, mentre l’attenzione era tutta verso mio padre: quasi non mi riuscì a vedere tra la folla il momento in cui la Porta fu aperta e lui l’attraversò, chiudendola dietro di sé.
Non ci scambiammo nemmeno uno sguardo prima della sua partenza: per quante cose non potessi ancora sapere, ero consapevole che la mancanza di considerazione nei miei confronti non era dovuta a del rancore. Potevo intuire che anche lui esitasse e provasse paura per l’impresa che stava per compiere. Il rito era per lui importante se non fondamentale: mio padre non era discendente naturale della stirpe dei Valen, ma era stato adottato in giovane età. Ora era giusto che andasse nel regno degli avi affinché essi lo riconoscessero come loro erede, anche se non c’era alcun legame di sangue. Ciò non avrebbe portato onore unicamente a lui, ma anche a me, suo figlio. Nonostante durante le onoranze dei Signori avesse mantenuto un’apparenza tranquilla, ero consapevole che fosse turbato dall’inquietudine per l’ignoto che lo attendeva. Un ignoto da cui era importante che tornasse.
L’unica persona che parve avere una piccola considerazione nei miei confronti fu la vecchia Melle, l’anziana della nobile famiglia degli Alos. Mi si mise al fianco e sembrò comprendere ogni mio timore. Non scambiammo molte parole in realtà.
«…Arriverà anche per te il momento in cui capirai ogni cosa.»
Nessuno poteva dire quanto tempo ci avrebbe impiegato mio padre a tornare, così a poco a poco la folla si dissolse, lasciandomi solo.
L’atmosfera del sotterraneo era diventata opprimente: l’uscire all’aria aperta mi dette un senso di leggerezza, ma il mio animo restava tormentato dal pensiero di mio padre nel regno dei morti. Un pensiero che mi rimase fisso anche quando presi a giocare nel cortile con i miei coetanei.
Avendo il rito coinvolto mio padre, ero l’unico giovane a cui fu permesso assistere: nessuno dei miei compagni di gioco poteva sapere. Non potevo trovare comprensione in loro per lo stato di apprensione che avevo. Fu proprio per l’ansia che provavo che quando calò la sera ed i miei amici tornarono a casa, non tornai nel palazzo ma mi recai nel sotterraneo.
Non so dire con esattezza quanto tempo trascorsi a guardare la Porta chiusa: ma avrei saputo tracciare il disegno di ogni pietra della parete che la circondava, ogni scalfittura del telaio in pietra, tutte le fessure che avevano le tavole in legno che La formavano… Attendevo seduto a terra che si aprisse da un momento all’altro.
Ogni tanto udivo qualche topo che correva nelle pareti attorno, ma ebbi un sobbalzo quando il rumore che sentii provenne da oltre la Porta.
Convinto fermamente che mio padre stesse per tornare, aprii la Porta e senza esitazione sbirciai all’interno: il farlo mi lasciava un po’ inquieto, però sarebbe sparito ogni timore se avessi scorto mio padre. In realtà non c’è pericolo ad aprirLa, dato i morti non potevano tornare nel mondo dei vivi. OltrepassarLa poteva portare unicamente alla possibilità di perdersi nell’aldilà e non riuscire più a tornare. Avvertendo solo silenzio, La aprii maggiormente ed un attimo dopo feci il passo che permetteva di lasciarsi alle spalle il mondo reale.
Mi trovai in una grotta dalle pareti di roccia grigia, da cui proveniva calore. Il regno dei morti era un ambiente afoso: l’anima si trovava a suo agio solo nel calore che gli rammenta la vita. Sulla sinistra si vedeva l’inizio di una scalinata che andava verso il fondo, dove doveva esserci il regno dei morti. L’ambiente su cui si affacciava la Porta non era più grande di quattro metri per quattro, ma di fronte stava un’apertura che conduceva in un altro locale molto piccolo.
Gli occhi guardavano affascinati le pareti di nuda roccia, l’odore era unicamente quello del vapore acqueo che si estendeva leggero in tutto l’ambiente: sudavo ed avevo caldo, ma la sensazione che provai nel trovarmi all’entrata era di grande serenità. Ogni senso sembrò essere attenuato.
Dal buco nella parete uscirono due cani, o meglio, quel che ne restava. Il primo che mi venne incontro era di piccola taglia, il pelo nero ma in diverse zone se ne intravedeva lo scheletro, del secondo rimaneva solo lo scheletro.
Non mi impressionò vedere queste due creature visibilmente morte avere un atteggiamento da esseri viventi: la grotta esercitava su di me uno strano fascino.
Temevo la Porta prima di varcarla ed ora che vi ero penetrato non ne percepivo alcun pericolo. Prima pensavo con paura al rito di iniziazione che avrei dovuto svolgere in quel luogo di lì ad un anno, ora non pensavo minimamente alla fuga, anche se non osavo allontanarmi dall’entrata.
Giunti all’età di dodici anni era consuetudine che i rampolli delle famiglie restassero nella stanza iniziale e lì comprendessero “la storia”: solo di lì a sette giorni sarebbero potuti uscire ed in quell’occasione si sarebbe svolta una festa davanti al Patriarca.
Quando gli occhi si abituarono alla poca luce, notai una lastra incisa tra la roccia: era trascritto il nome di un avo e sotto, a caratteri più piccoli, era narrata la sua storia. Guardandomi attorno ne vidi diverse, ognuna con un nome e le imprese svolte. Compresi così chiaramente che il rito dei dodici anni avrebbe previsto la narrazione davanti al Patriarca di una di quelle storie. Avrei dovuto scegliere quale avo voler come riferimento per proseguirne la via.
I due cani cercarono di avere la mia attenzione e le mie carezze, così mi inchinai verso quello che mostrava ancora del pelo. Lo toccai e gli domandai se appartenesse alla famiglia Valen: il cane scosse la testa in segno di negazione. Apparteneva alla famiglia di mia madre, Ira? Ancora una volta negò. Mi misi ad elencare tutti i nomi delle nobili famiglie ed alla fine scoprii che apparteneva agli Alos. Non era quello il luogo adatto alla sua sepoltura. L’altro cane, invece, apparteneva ai Valen.
I non nobili non avevano possibilità di avere un cripta di famiglia, dovevano seppellire i loro morti nei cimiteri comuni, ma per un appartenente alle nobili Famiglie il culto degli avi aveva un profondo senso, dato proprio dalla presenza della Porta che legava in modo più stretto i morti con i loro eredi. Anche un semplice animale, che a suo modo era appartenuto alla Famiglia, meritava un po’ di quell’onore dato agli avi.
Credetti così di fare una giusta azione andando in casa per prendere una scatola: tornato dal cane gli chiesi di entrarci, affinché potesse riposare con la sua Famiglia. Non era giusto che rimanesse in una tomba che non gli apparteneva.
Varcata nuovamente la Porta, la scatola conteneva gli immobili resti di un cane in decomposizione. Nessun morto poteva vivere nel mondo reale.
Portai la scatola alla vecchia Melle, che provvide a riporre la creatura oltre la Porta della sua Famiglia. Appena fu posto dall’altra parte, il cane riprese a muoversi. Lo osservavo dal centro della stanza dei sotterranei in cui la Porta degli Alos si apriva: fu in quel momento che mi sorse il pensiero di come ogni sforzo di mio padre sarebbe stato vano se il giorno in cui fossi morto il mio corpo fosse sepolto in altri luoghi, lontani dalla cripta di famiglia e dagli avi.
La donna volle intrattenermi, discutendo della cerimonia di poche ore prima. Non ero tanto propenso al dialogo, ma dovevo rispettarla.
Con l’atto di portarle il cane la vecchia Melle aveva compreso ciò che avevo fatto. Sebbene fosse sempre aperta, varcare la Porta era proibito, o almeno non era consentito farlo così liberamente come l’avevo fatto io, essendo un luogo che poteva rivelarsi pericoloso. Lei però non mi rimproverò, si limitò a chiedermi se mi mancasse mio padre.
Da lungo tempo vivevamo esclusivamente l’uno per l’altro, sebbene durante il rito non ci scambiammo nemmeno uno sguardo il nostro legame era molto forte.
«Nulla riuscirà ad impedirti di varcare la Porta per cercarlo, vero?»
Per quanta paura avessi, là c’era mio padre.
«Vorrà dire che verrò con te.»
La sua accondiscendenza in quel momento mi spiazzò, ma solo conoscendola avrei compreso i suoi motivi. La vecchia si preparò ad uscire di casa. In realtà non so se avrei mai avuto il coraggio di varcare la Porta da solo e cercare mio padre nel grande regno dei morti.
Lungo la via che ritornava dalla casa degli Alos incontrai Leuta, la fidanzata di mio padre. Leuta era una giovane donna di ventiquattro anni, una persona gentile e di bell’aspetto: nonostante non fosse nobile poteva muoversi a testa alta tra le Famiglie, poiché il padre aveva un patrimonio degno della nobiltà. Perciò nessuno protestava che frequentasse mio padre: una non-nobile e un adottato erano una buona coppia, specialmente se dall’unione si arricchivano le Famiglie.
Leuta sapeva che mio padre era impegnato in un rito dei nobili per avere l’accettazione degli avi, ma non immaginava minimamente che esistesse la Porta e che da una qualunque casa nobiliare si accedesse al regno dei morti. Ciò nonostante, cogliendo la sua ansia per la lontananza di mio padre, le chiesi di unirsi a noi nell’intento di andargli incontro. La vecchia Melle mi guardò e scosse la testa per dirmi di non farlo, ma anche lei non poté nulla contro la reazione entusiasta della ragazza. Avevamo tralasciato accuratamente di dirle dove fossimo diretti: perciò non apparve minimamente inquieta a varcare la Porta: le indicai le scale, lei le imboccò protestando per il gran caldo, trovando anche la gonna e le scarpe d’impiccio sulle scale. Fui io ad esitare, fermandomi con la vecchia Melle a guardare con insistenza le lapidi degli avi.
«Dovrò scegliere quale vita tracciata da loro seguire?»
«Si, prenderai il nome di uno di loro e dovrai onorarlo.»
«Voi l’avete onorata la promessa fatta davanti al Patriarca?»
«La onoro ancora.»
«Per proseguire quella via avete scelto di seguirmi senza impedirmi di fare qualcosa che va contro le regole?»
«Sei un ragazzo molto intelligente, capirai le regole quando farai il tuo rito.»
La vecchia Melle mi pose la mano sulla testa, poi ci avvicinammo verso la gradinata per raggiungere Leuta. Sui primi scalini mi si mise accanto il cane-scheletro a cui chiesi di farmi da guida alla ricerca di mio padre.
I gradini di pietra ci condussero al di sopra una grande grotta, sul cui fondo sembrava svolgersi una frenetica attività. Inizialmente credetti di guardare una città dall’alto. Il vapore acqueo che riscaldava l’ambiente si alzava dal terreno come fumo da comignoli mentre da quella posizione la forma e le varie colorazioni della roccia davano l’idea di tetti. Sul fondo della grotta fummo invasi dalla meraviglia: niente di più di roccia e vapore acqueo, ma la natura aveva scolpito le pietre con un’abilità che nessuno scultore avrebbe mai eguagliato.
Dovemmo inoltrarci un po’ nella caverna prima di giungere al cuore della cripta dei Valen e di scorgerne i suoi abitanti: Leuta quasi svenne quando comprese dove effettivamente fossimo giunti, ma si fece forza al pensiero di raggiungere mio padre.
Non era facile aggirarsi per il mondo sconosciuto, anche perché dei vivi erano considerati come intrusi, disturbatori della pace. Nell’immensa grotta che rappresentava il mondo in cui i Valen svolgevano la loro esistenza dopo morti potemmo vedere molte realtà che agli uomini erano negate: ciò a cui assistemmo non era qualcosa che potesse essere spiegato con la razionalità, la stessa presenza delle anime era qualcosa difficile da esprimere con le parole. Gli occhi vedevano unicamente vapore e rocce, ma la presenza di spiriti era percepita dagli altri sensi.
Trovandomi lì compresi che l’immensa grotta poteva essere considerata unicamente come cripta di famiglia: per quanto grande, non era altro che un’anticamera in cui la Famiglia poteva riposare, attraverso altre vie era collegata al vero e proprio regno dei morti: ogni casa nobiliare aveva così una propria anticamera “privata”, ma poi poteva entrare nel vero e proprio mondo dei morti, e da là, nessun vivo poteva tornarci.
Pensandoci, il cane degli Alos che avevo condotto nella cripta della sua famiglia poteva essere giunto volontariamente dai Valen per una via interna, non era detto che avessero sbagliato la sua sepoltura. Ma quando lo spostai non potevo ancora sapere la struttura dell’aldilà.
Vagando un po’ seguendo fiduciosi il cane, trovammo mio padre: era seduto su di una roccia, immobile, apparentemente privo di ogni volontà, totalmente assoggettato agli spiriti degli avi. I ricordi di cosa accadde esattamente in quel luogo appaiono confusi, anche dopo anni mi risulta difficile spiegare, perché il tempo sembra cambiare i ricordi. Sebbene ci trovassimo ad affrontare la stessa scena, l’interpretazione che davo ai fatti risultava diversa da quella più matura di Leuta e molto lontana dalla vecchia Melle. Esperienza, cultura, ma più di tutto la persona traduceva i fatti in un modo diverso. Solo chi varca la Porta può rendersi conto della strana realtà in cui risiedono i morti.
Nella mente di mio padre doveva stare accadendo qualcosa di terribile: i suoi occhi infatti esprimevano dolore, stupore, orrore e quant’altro la sua mente si trovava ad affrontare ad opera degli avi. Non conosco la terribile prova a cui lo stavano sottoponendo, ma ad un certo punto delle ferite presero a comparirgli sul volto. Fu allora che Leuta non riuscì più a sopportare la sua sofferenza ed inginocchiandosi a terra davanti a lui, gli prese le mani e le strinse tra le sue. Iniziò a chiamarlo e a piangere.
Quando un getto di vapore mi travolse in pieno intravidi un volto: poi la luce bianca dominò sovrana nella mia mente. In lontananza vidi la sagoma scura di mio padre che si stava ribellando alle anime di luce che lo attorniavano. Improvvisamente poi, sentii assordanti i singhiozzi di Leuta, e la voce della vecchia Melle che mi riportò alla realtà della grotta.
Leuta era ancora in ginocchio a piangere sulle ginocchia di mio padre, l’anziana donna degli Alos era immobile, con la mente proiettata in un mondo che avevo appena intravisto. Solo in seguito avrei saputo che stava prendendo le mie difese davanti agli avi, iniziando con loro una lotta per proteggermi. Il cane d’ossa mi morse i pantaloni e mi condusse qualche metro più in là, davanti ad una lapide imponente. Era la pietra che rammentava la grande storia dell’avo Patriarca, colui che da più tempo risiedeva nella cripta: aveva ottenuto grandi onori come vivente, ma molti anche come spirito.
Fu lì che mi inginocchiai e presi a pregare: dopo un po’ il vapore apparve davanti alla lapide ed intravidi il volto di quel grand’uomo. La mia mente rimase lucida, ma mi ritrovai a dialogare con l’antenato. Le parole non rimasero impresse nella mia mente, ne ho vivide però le immagini: vidi il passato dell’antenato, la storia di mio padre e la mia, con scene che potevano appartenere al mio futuro… Ma il tempo ha reso i ricordi molto vaghi, al pari di un sogno che si svolge con chiarezza nella mente del dormiente, ma che al mattino dopo risulta confuso e frammentario.
Stavo ancora dialogando con l’avo Patriarca quando il vapore si dissolse e la vecchia Melle mi pose una mano sulla spalla e mi disse di allontanarci. Il primo pensiero fu per mio padre, verso cui mi votai: aveva ripreso conoscenza e stava abbracciando Leuta.
Gli avi lo avevano accettato tra i loro eredi: non lo compresi che dopo le spiegazioni della vecchia Melle, ma anche Leuta era stata a suo modo messa alla prova dagli avi, non era scappata davanti la sofferenza di mio padre e ciò le avrebbe permesso di entrare a tutti gli effetti nella famiglia dei Valen e poterne procreare dei discendenti.
Ritornammo tutti ad attraversare la Porta, ci fu un periodo di festeggiamento per l’eredità raccolta da mio padre ed il matrimonio con Leuta.
Trascorse circa un anno e mi trovai ad affrontare il mio rito. La compagnia del cane d’ossa mi distraeva e potevo trascorrere con più facilità il tempo, ma non avevo paura. Non più. Lessi le imprese dei miei avi, poi presi carta e penna che avevo portato con me e iniziai a scrivere. Scrissi di ciò che vidi oltre la Porta, di come mio padre, un uomo senza radici avesse lottato per attingere il suo presente dal glorioso passato degli antenati e di come l’amore di una donna lo avesse aiutato a scrivere la sua storia. Ancora narrai di una donna anziana che aveva mantenuto la promessa di onorare sempre il giuramento fatto nel rito per diventare adulta ed infine raccontai di come gli spiriti di antenati che avevano scritto una grande storia esistessero nel mondo ultraterreno in modo incomprensibile, completamente diverso dalla vita come la intendiamo noi.
Dopo il rito di iniziazione oltre la Porta mi ritrovai a dover pronunciare il mio giuramento davanti al Patriarca e le Famiglie. Mi chiesero quale avo volessi onorare, prendendone il nome e seguendone la via, ma detti una diversa risposta: decisi che avrei tracciato una nuova strada che avrebbe avuto le sue radici nel nome dei Valen che portavo, una eredità che avrei sempre onorato.
Il Patriarca fu smarrito dalla mia decisione, ma accettò il mio giuramento. Non sarebbe stato facile, ma non avevo paura di farlo: ero consapevole che nella maturità avrei dovuto affrontare gli avi e essere sottoposto al loro giudizio, ma avevo la certezza che il giorno in cui avessi varcato la Porta senza più poter tornare, avrei visto porre una lapide con il mio nome: sarei stato anch’io iniziatore di un modo di vivere con onore, un giorno ci sarebbero starti dei dodicenni che avrebbero varcato la Porta per la loro iniziazione ed avrebbero letto la storia del regno dei morti decidendo di vivere la loro vita al meglio.