Al giorno d’oggi si deve prendere atto che l’espressione linguistica tradizionale italiana non è sufficiente a soddisfare tutte le necessità nascenti dai cambiamenti che stanno avvenendo all’interno della nostra società, e quindi, per riflesso, anche sul nostro modo di esprimerci.
Recentemente la questione del riconoscimento e della percezione del genere è diventata molto meno sbrigativa rispetto a quella che noi stessi abbiamo imparato sui banchi di scuola, e non siamo gli unici!
I sostantivi professionali femminili
Il primo ostacolo che la nostra lingua si trova ora davanti per poter esprimere in modo corretto il nostro pensiero è quello dei sostantivi professionali femminili. Per fortuna infatti molte questioni lavorative sono cambiate per le donne rispetto al secolo scorso, anche se c’è ancora molta strada da fare.
Come sappiamo la lingua è espressione del nostro pensiero, e questi si influenzano reciprocamente, quindi partire dall’idea che una professione femminile debba semplicemente essere espressa con il sostantivo femminile è a mio avviso, e non solo, riduttivo.
La resistenza in questo caso non deriva solo da persone maschiliste o misogine, ma la maggior parte delle volte proviene dalle donne stesse che considerano “degradante” l’uso del sostantivo femminile per esprimere la propria professione.
Prendiamo come esempio la parola segretario, ora utilizzato al maschile e senza nessun contesto automaticamente pensiamo che si tratti di una carica politica di qualche genere, mentre invece se utilizziamo il femminile, segretaria, pensiamo invece all’assistente di una figura imprenditoriale: proprio per questo motivo le donne che ricoprono cariche istituzionali di segreteria resistono all’utilizzo del femminile professionale anche se già perfettamente usato e corretto
Ma non sono le uniche, pensiamo alle direttrici o alle maestre, che non vogliono essere associate ad immagini considerate più degradanti rispetto alla loro carica effettiva, quando invece non lo sono affatto!
Da qui si può intendere come effettivamente sia un argomento importante quello del riconoscimento del valore professionale di cariche che per tradizione sono diventate femminili nella concezione comune, e di come esse a volte vengano considerate inferiori.
Se è maschio comanda, se è femmina è comandata. Chi è?
(la risposta a fine articolo)
Partiamo dalla grammatica
Come abbiamo imparato sui banchi di scuola esistono quattro coppie di maschile/femminili nella lingua italiana: nomi di genere fisso (es. marito/moglie), genere comune (il/la pediatra), genere promiscuo (i cui nomi vengono disambiguati attraverso una locuzione: es. il maschio della tigre e il tasso femmina) e genere mobile (i quali si declinano in base alle regole morfologiche dell’italiano (i.e. minatore/minatrice o avvocato/avvocata).
Quindi il corretto percorso che si dovrebbe fare sarebbe quello di individuare la categoria corretta a cui la parola appartiene e poi costruire il femminile di conseguenza.
In generale possiamo dire che viene sconsigliato l’uso della creazione di femminili attraverso suffissi come “presidentessa”, in quanto tendono ad appesantire il vocabolo; sarà quindi preferibile usare la presidente.
Ma se suona male?
Partiamo con il dire che il giudizio di cacofonia di una parola è esclusivamente a discrezione del singolo, quindi ininfluente dal punto di vista grammaticale.
Questa stranezza di sentire parole come architettora è data dalla nostra poca confidenza con la stessa, non certo dalla sua incorrettezza!
Insomma, se usiamo la parola petricore per il buonissimo profumo dell’aria dopo la pioggia non vedo perchè dovremmo privarci dell’uso di ministra perché assomiglia troppo a minestra!
Qualche tempo fa storsi il naso per il termine soldata, abituata com’ero a soldatessa: facendo una piccola ricerca ho scoperto che è stato preferito il primo termine perchè il secondo era spesso usato con eccezione scanzonatoria.
Ma se noi non vogliamo dare un genere?
Come sappiamo in italiano il genere è sempre esplicitato essendo una lingua con genere grammaticale.
E fin qui nessun problema, se non che la nostra società si sta spostando verso la fluidità del concetto di genere, quindi per rivolgersi ad una persona la quale non si identifica nei due generi come possiamo fare?
Una soluzione potrebbe essere quella di usare gli asterischi per lasciare in sospeso l’attribuzione del genere. A tal proposito sono però state mosse delle critiche per la difficoltà riscontrata nell’esprimerlo vocalmente.
Quindi è venuta in soccorso il carattere schwa “ə”, che permette quindi di scrivere senza assegnare un genere e allo stesso tempo di dare una connotazione sospesa del suono da prodursi.
La schwa è infatti una lettera appartenente all’IPA, il quale foneticamente si produce con un’emissione fonetica nell’area centrale della propria bocca, insomma, un suono molto simile a quello che facciamo quando siamo disgustati!
Molti obietteranno che non vale la pena cambiare un intero sistema di scrittura per quella che a volte viene definita come scusa futile, quando personalmente ritengo che sia un tema fondamentale nell’ottica più ampia dell’attribuzione di pari diritti indipendentemente dal proprio genere sessuale, come la nostra stessa Costituzione prevede.
Inoltre l’utilizzo della schwa si rivela utile anche se volessimo parlare di un gruppo di persone senza dover per forza utilizzare il maschile, come prevede al momento la nostra grammatica italiana, in presenza di anche un solo elemento maschile all’interno dell’insieme, al di là della prevalenza numerica.
Al momento la Crusca non si è espressa a tal proposito, ma Vera Gheno, l’esperta del settore, ha proposto le soluzioni sopra citate. A tal proposito vi invito a leggere la sua intervista rilasciata su thesubmarine.it.
In conclusione possiamo dire che la questione del genere della lingua non è affatto stabile nè fissa come tendiamo a pensare, in quanto l’italiano, come tutte le altre forme di espressione verbale, non è eterna, ma cambia con il cambiare della nostra stessa realtà. Quindi “governante” con l’articolo “il” al giorno d’oggi non dovrebbe evocare un senso di potere maschile, mentre al femminile con “la” della donna abile solo nel gestire la casa.
E voi cosa ne pensate? Pensate che sia prematuro parlare di cambiamenti così radicali in tal senso? Oppure credete che sia giusto adeguare la lingua scritta e parlata al mutare dei tempi?