Tutti noi sappiamo quanto sia fondamentale fare una buona prima impressione, con chiunque: una nuova conoscenza, con un potenziale datore di lavoro e anche con l’oggetto delle vostre ricerche che potrebbero impressionare anche un agente dell’FBI.
E se stavolta dovessimo pensare alla prima impressione dei nostri personaggi? Abbiamo visto quanto queste figure possano penetrare nella nostra vita e farci vivere con loro emozioni e momenti importanti, ma come possono entrare in empatia con noi se si sbaglia il primo passo?
Uno studio di Bert Decker conferma che una persona genera la sua prima impressione nell’arco di appena due secondi, creando un’immagine che permane dei successivi quattro minuti, necessari al completamento dell’impressione generale che rimarrà negli incontri successivi.
Quindi la prima impressione da associare al vostro personaggio dev’essere accuratamente studiata!
Con questo non intendo dire che dovreste mettervi a tavolino a scervellarvi per immaginare un’ambientazione o una casualità ad hoc, sono sempre una forte sostenitrice dell’ispirazione creativa regolata, ma non nevrotica!
Come sostiene Becker, la prima impressione è prettamente visiva, quindi sarà essenziale fornire informazioni sull’aspetto fisico del vostro personaggio per permettere al lettore di formare nella sua mente un’immagine da associare e con cui sarà più facile interagire.
La descrizione fisica non deve essere forzata, ma integrarsi con armonia con l’ambientazione circostante, anche creando impressioni ossimoriche che rimangano impresse. A mio avviso le descrizioni migliori integrano elementi fisici del personaggio con caratteristiche del suo stile come vestiti, gioielli, oggetti che usano o che non sanno usare per dare molte informazioni senza ricadere in noiosi elenchi.
Dato che in questo caso stiamo lavorando con la sfera visiva direi di aiutarvi immaginando la scena come se uscisse da un film, pensiamo a Il Grande Gatsby, in cui l’entrata del protagonista è attesa, e nel momento della rivelazione tutta l’attenzione è catturata dai modi di Gatsby, dai suoi vestiti e dal suo carisma più che rivelarci quanto è alto o che numero di scarpe porta.
Ma indubbiamente la sua immagine rimane in noi cristallina fino all’ultima pagina.
L’efficacia comunicativa in questo caso è la chiave, direi che potete anche creare una sorta di scena riassuntiva dell’essenza del vostro personaggio, chiedendovi: quanto è da lui/lei?
Una raccomandazione: non fatevi prendere la mano nello spiattellare subito tutto al vostro lettore, lasciate che segua le briciole di pane che avete disseminato in tutto il libro, e vi sarà grato quando arriverà alla fine del percorso!
Una descrizione troppo lunga potrebbe annoiare il vostro lettore, rendendo una figura potenziale in un personaggio noioso proprio a causa di una mancata prima impressione adeguata.
Alcuni consigliano addirittura di tenere traccia della scena di introduzione dei personaggi principali, ma anche qui la scelta spetta a voi sull’organizzazione interna della vostra storia.
Siate coraggiosi e osate con le prime impressioni, che la Musa sorride agli audaci!
Gli elenchi sono davvero da evitare. Non so se ti è mai capitato di leggere certe descrizioni che sembrano carte d’identità: altezza media, occhi verdi, capelli biondi… no, non funziona così.
Io le chiamo le descrizioni delle elementari. In genere le trovo in autori moderni alle prime armi, anche se mi ricordo bene i lavori alle medie per cercare di rendere corpose le risposte, senza “liste della spesa”.
Mi pare fosse Stephen King nel suo manuale “On writing” a consigliare di limitare a tre elementi le descrizioni, sia del personaggio, che dell’ambientazione, e di lasciar fare il resto all’immaginazione del lettore. Se i tre elementi sono buoni, non occorre di più. 🙂
Sono perfettamente d’accordo. Ed io sono una che tenderebbe ad essere prolissa, ma per fortuna sono anche in grado di ridimensionarmi.
Quella di lasciare spazio al lettore secondo me è una buona cosa, si tratta di un libro, mica di un film in cui vedi tutto.