Tutti noi siamo venuti a contatto con la strategia di marketing e comunicazione chiamata Storytelling.
Lo Storytelling nasce con la capacità dell’uomo di narrare una storia, pensiamo ai primitivi che affrescavano le grotte con scene di caccia, o agli Egizi che ci hanno lasciato migliaia e migliaia di fonti per scoprire come vivevano e quali erano i pilastri su cui si fondavano la loro società.
Nulla di nuovo sotto il sole dunque, ma come mai di recente fare storytelling è diventata una prerogativa fondamentale di qualsiasi azienda e persona interessata ad ottenere una certa rilevanza all’interno del panorama mediatico e comunicativo?
In particolare narrare la propria storia o la storia di un marchio, è fondamentale al giorno d’oggi per riuscire ad instaurare un rapporto personale con il proprio target, quindi con il pubblico a cui ci si rivolge.
In tal senso lo storytelling è diventato uno strumento fondamentale all’interno delle strategie di marketing digitale, che rappresenta un’evoluzione del marketing persuasivo. Il punto è che queste strategie di comunicazione sono applicate anche ai profili personali degli influencers, i quali in pratica vendono la costruzione mediatica della loro esistenza.
Se ci fate caso tutti i profili social, come anche i siti web dei brand a cui siete più affezionati non si soffermano sull’esposizione di quanto siano preferibili rispetto agli altri, ma fanno un passo in più e cercano di empatizzare con voi, condividendo la propria esperienza e i loro sacrifici.
In questo modo vengono scelti non solo per i prodotti che offrono in sé, ma anche e soprattutto perchè voi vi riconoscete in loro, o in qualche modo rappresentano quello che voi vorreste essere.
Le quattro “I” dello storytelling
La tecnica dello storytelling ha infatti quattro caratteristiche imprescindibili:
- Ispirare (Inspire): la storia deve essere d’ispirazione per il lettore, lasciandolo con propositi migliori rispetto a prima della lettura.
- Interessare (Interest): nessuno vuole leggere una storia noiosa, per quello ci sono i libri di algebra analitica! In tal senso le prime parole giocano un ruolo fondamentale, quindi prestate molta attenzione a come vengono usate le cosiddette “frasi civetta”, le prime su cui cade l’occhio.
- Istruire (Instruct): il buon proposito sarebbe quello di arricchire con la conoscenza ogni lettore, non per forza si tratta di insegnare esclusivamente in modo accademico, ma anche da un punto di vista morale, comportamentale ed etico.
- Coinvolgere (Involve): lo scopo ultimo dello storytelling è quello di creare un legame personale con ogni persona attraverso la creazione di empatia tra il ricevente e l’emittente. Per fare ciò si deve puntare sulle emozioni, e quindi creare un contenuto che sia in grado di toccare le corde interne di tutti noi.
Pensiamo alle pubblicità per la sensibilizzazione contro il randagismo, usano prevalentemente immagini di cuccioli e di cani carini, di certo non quelle dei cani rabbiosi che cercano di mordere i soccorritori.
L’essere umano, per quanto ci stia provando, non riesce ad empatizzare con gli oggetti, quindi si ha bisogno di rendere i prodotti venduti umani. Per fare questo si usa quello che di più umano c’è al mondo: la parola.
Come deve essere usata la parola
Nel paragrafo precedente abbiamo visto i pilastri su cui si basa lo storytelling, ma vediamo ora quali caratteristiche dovrebbe avere il testo che si presenta ai lettori.
Una storia per avere un forte effetto persuasivo deve essere, come abbiamo visto prima, interessante in sé. Poi entra in gioco il come viene scritto.
A tal proposito è fondamentale ricordare che in un profilo social, come anche in un sito, si deve mantenere lo stesso tono, altrimenti il lettore sarebbe spaesato nell’essere approcciato da quello che sembra essere un soggetto dalle personalità multiple, a meno che non si tratti di uno psichiatra specializzato in questo campo, ovviamente.
La storia deve essere quindi esposta in modo accattivante, e deve sembrare autentica, anche se non lo è. Tutto questo lavoro si fa per fare in modo che il nostro target ricordi la storia che stiamo raccontando, ma molto più importante, che si ricordi chi l’ha scritta.
Quali sono i tipi di storia che vengono raccontati?
Anche lo storytelling ha diversi “generi” che possono essere esposti:
- Il viaggio personale: a tutti interessa la storia di un viaggio, sia esso fisico o di crescita. Si guarda al percorso altrui per essere ispirati e per trovare delle somiglianze con il proprio. in tal senso il viaggio può anche essere inteso come l’inizio dell’attività.
- Il superamento delle proprie difficoltà: non c’è nulla di più simpatizzante del condividere le proprie disgrazie, pensate a quando due nonne si incontrano e sembra facciano a gara per vedere chi ha avuto la disgrazia peggiore. Ovviamente lo storytelling deve ispirare, quindi si racconta di come questi brutti momenti siano stati superati con successo o non, per servire da guida ed esempio al proprio target.
- La fiaba: tutti amiamo le favole a lieto fine, pensiamo a quanto ha fatto scalpore la storia del principe William e dell’ora duchessa di Cambridge Kate Middleton, che ha fatto impennare vertiginosamente la vendita del merchandising della famiglia reale.
Ovviamente non tutti possiamo aver avuto la possibilità di far innamorare un principe nella nostra scuola, ma abbiamo la possibilità di scrivere una storia che comunichi grandi princìpi e valori etici in modo accattivante.
Storytelling: un termine appropriato?
Vista questa premessa mi chiederete voi, come si fa a condensare tutto quello che abbiamo visto in precedenza all’interno di un post? Ebbene ora vi stupirò.
Si può fare storytelling usando solo una manciata di frasi, anzi, a volte meno è molto meglio.
Prendiamo ad esempio la pagina Instagram della Nike. Noterete che la maggior parte dei post non eccede le cinque righe di testo, ma tendono ad essere frasi semplici e d’impatto ad esempio “If it seems like anything is possible, that’s because it is” (Se sembra che tutto sia possibile, è perché lo è).
Ora, sappiamo tutti cosa significa creare una storia, scrivere una storia e raccontare una storia. Come abbiamo visto in questo blog, una trama si struttura con un inizio, uno svolgimento ed una conclusione.
Se togliamo questo percorso, rimane ancora una storia?
Personalmente credo che la parole Storytelling sia poco adatta a definire l’insieme di tutto ciò che comporta fare storytelling. Capisco la necessità di usare termini che derivino da qualcosa di conosciuto, come appunto è raccontare una storia, ma credo che in tal senso si possa fare un passo in più e creare una categoria nuova di scrittura che sia mirata a sottolinearne le particolarità.
Penso ad esempio alla scrittura persuasiva, o alla costruzione di empatia, e mi viene in mente che forse il termine più adatto a questo tipo di contenuto sia il social writing o il social sharing, per comprendere tutti i prodotti mediatici che hanno queste caratteristiche.
Voi cosa ne pensate? Ritenete che il termine Storytelling sia adatto oppure no? E sulla base della vostra esperienza credete che ci stia sfuggendo di mano? Attendo i vostri commenti!
Penso sia il solito termine inglese usato per coprire un’ampia gamma di attività e possibilità, a volte a casaccio. In un certo senso lo Storytelling deriva dalla globalizzazione e dal consumismo esagerato: nel dopoguerra i prodotti erano pochi, bastava un semplice annuncio sui giornali, alla radio o alla televisione ed era già tanto trovarli nel negozietto più vicino; oggi la concorrenza è così enorme, su larga scala e immediata, che non basta più l’annuncio, ci sono troppi prodotti percepiti come uguali, occorre andare oltre. Per afferrare l’attenzione del cliente è necessario porsi nella sua scala di valori: il consumatore infatti preferirà quel prodotto che più si adatta alla propria quotidianità e/o che gli promette di migliorarla davvero. Dunque si cerca di coinvolgerlo con una narrazione che lo avvicini.
Rispondendo alle domande nella newsletter, quali pubblicità ricordo?
Un paio della FIAT degli anni ’90 (allora c’erano dei geni al marketing): quella della ragazza del piano di sopra “Adesso esco e vado col primo che incontro” e lui sotto, che stava lavando i piatti, si presenta davanti alla porta con un “Buonaseeeeeeera” (quel tono ci ha tormentato per anni XD ), poi il claim diceva “Cogli l’attimo con Fiat…”; quella del ciclista che a ogni semaforo rosso si appoggiava con la mano sul cofano dell’auto a fianco, infastidendo il guidatore, che all’ultimo semaforo ingrana la retromarcia e lascia cadere il ciclista…
Non ricordo il panettone da bambina, ma la canzone “Come un candito a Natale” di Motta 2017, perché a me i canditi piacciono, accidenti!
La pubblicità che invece adoro adesso? Tavolette di cioccolato M&M’s, con le voci che litigano nel sedile posteriore e la madre che inchioda “Se non la smettere subito, giuro che vi mangio vivi uno ad uno!” Non riesco a non ridere. XD
Ciao Barbara, conocrdo con te sull’uso di “storytelling” a volte a sproposito, io già da anni ho attivato una lotta personale contro il modo di usare varie parole inglesi in italiano.
La domanda nella newsletter era per avere conferma se, come ritengo io, ci si ricorda molto meglio le pubblicità del passato (con una narrazione a mio avviso migliore), rispetto a quelle di oggi.
Sul panettone mi hai stupito: per me è indelebile il “Chi sono io, Babbo Natale?”
Ho letto il tuo articolo con interesse – articolo con cui hai fatto un ottimo storytelling, secondo me! Di sicuro mi hai istruita, perché lo storytelling, finora, era quella cosa che mi faceva sbuffare a ogni incontro, senza che volessi mai approfondirla. Adesso mi è molto più simpatica nella sostanza, ma il termine no, è troppo vago e non suggerisce il suo scopo. Meglio quindi le tue proposte.
Che bel complimento che mi hai fatto! Ti svelerò un segreto: molti articoli sono scritti per terapia personale, per riorganizzare in modo semplice i concetti, dopo essere approdata nella confusione del web.