Tutti sappiamo che poter parlare almeno una lingua straniera è come una specie di superpotere che spesso viene passato sotto silenzio anche nei libri.
Solitamente per descrivere un personaggio poliglotta ci si limita a fargli dire un paio di frasi in una lingua straniera e il gioco è fatto, ma la questione è molto più complessa di come potrebbe sembrare.
Nel 1941 il linguista statunitense Benjamin Lee Whorf ha teorizzato per la prima volta un legame tra la percezione del mondo ed il linguaggio, il quale ha la doppia funzione di plasmare ed essere plasmato dall’ambiente che ci circonda.
Questa nuova teoria ha dato il via a numerosi studi sull’argomento che trattano per l’appunto come la lingua possa cambiare il nostro modo di pensare, e di conseguenza, come sapere più lingue possa cambiare il nostro modo di comportarci ed esprimerci.
Nel 2013 questa teoria è stata oggetto di interesse da parte del giornale The Economist il quale ha raccolto le varie posizioni a riguardo di diversi esperti su un blog chiamato Johnson, in cui si può entrare nel vivo della discussione ancora in atto.
Parlare una lingua diversa altera la personalità?
La risposta in breve è sì, studiando il comportamento di centinaia di poliglotti si è arrivati alla conclusione che esprimersi in una lingua diversa dalla propria lingua madre ha degli effetti sulla personalità dell’individuo.
La questione a dire il vero è alquanto semplice: esprimersi in una lingua diversa da quella originale implica che si debba comunicare più lentamente e con meno sicurezza rispetto al solito.
Al contrario, tornare ad esprimersi nella propria lingua madre dopo aver imparato un nuovo idioma ed aver effettuato delle conversazioni in lingua straniera permette al parlante di acquisire sicurezza ed essere più in generale “sciolto” nella comunicazione, e talvolta anche più simpatici.
Infatti quando ci si trova a dover scegliere dei vocaboli in una lingua straniera si devono compiere una serie di decisioni molto in fretta data la conoscenza più limitata di espressioni nell’idioma acquisito, stimolando in maniera incredibile l’encefalo nella zona della memoria e della creatività.
Riformulare pensieri in modo da renderli comprensibili ad un modo diverso di percepire la realtà è uno sforzo immane da parte del nostro cervello, ed è ancora più incredibile il cambiamento che si nota negli individui perfettamente bilingui.
Secondo la spiegazione sopra riportata, essendo loro teoricamente pari a livello di espressività non dovrebbero essere influenzati dall’aspetto della “sicurezza” nell’espressione in una lingua altra, ma quello che emerge è altrettanto interessante: il cambiamento di personalità avviene come per i poliglotti.
Perchè? Beh proprio perché vi è una sostanziale differenza nel modo di esprimersi nella lingua di per sé, oltre al fatto che ci sarà sempre una lingua più “forte” in cui l’individuo bilingue si esprime.
Parlando per esperienza personale, aggiungo che non è solo una questione di vocabolario e grammatica, ma anche di atteggiamenti: ci sono anche gesti, comportamenti ed atteggiamenti che una cultura accetta ed un’altra no.
Come poter sfruttare queste conoscenze nella scrittura?
Al giorno d’oggi, in cui viviamo in un mondo globalizzato e i contenuti di tutto il mondo sono letteralmente a portata di mano, mi stupisco sempre di più che nei romanzi contemporanei i personaggi siano ancora molto “vecchio stile” da questo punto di vista.
Certo, se un libro viene pubblicato in lingua italiana tutto il testo dovrà essere in italiano, ma mi sembra molto forzato il fatto che i personaggi si esprimano solo in italiano e che ci sia un numero bassissimo di riferimento ad altre lingue.
Pensiamo anche solo alla nostra legislazione, in questi due anni abbiamo avuto nomi di manovre del nostro stesso Stato e documenti ufficiali italiani che venivano emessi in lingua straniera, quindi il fatto che la presenza dell’inglese sia passata sotto silenzio a parer mio influisce negativamente nel mimetismo dell’opera.
Con questo non intendo dire che i nuovi romanzi dovrebbero essere un miscuglio senza soluzione di tutte le lingue con cui veniamo in contatto ogni giorno, ma semplicemente che il purismo talvolta è eccessivo per il pubblico a cui ci si rivolge dato che differisce in tal senso con i personaggi presentati.
Inoltre, conoscendo la questione della personalità legata alla lingua madre o alla lingua straniera, la creazione di una persona all’interno di una linea narrativa potrebbe essere arricchita in modo sorprendente.
Un piccolo cambio di posizione, l’alterazione della voce e i contenuti esposti in maniera diversa dal personaggio poliglotta daranno sicuramente un senso di verità al personaggio che si sta creando, non pensate?
Voi sapevate che la lingua di espressione influisce sulla personalità? E vorreste leggere più o meno inglese nei romanzi italiani?